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Lo SmartWorking Agevolato giunge al termine ed ora?

Lo SmartWorking Agevolato giunge al termine ed ora?

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Il mese di settembre segna la fine di un'era per molti lavoratori in Italia. Il cosiddetto "smart working agevolato," che ha consentito a un ampio spettro di dipendenti di svolgere il proprio lavoro da remoto senza la necessità di accordi individuali, giunge al termine il 30 settembre. Questa opportunità era stata estesa inizialmente dalla legge del 3 luglio 2023, la quale aveva prorogato la scadenza dal 30 giugno al 30 settembre. Ma, a partire da ottobre, i lavoratori fragili dovranno affrontare nuove sfide se desiderano continuare a lavorare in modalità agile.

Tuttavia, è importante sottolineare che questa fine non significa la cessazione completa dello smart working, ma solo la fine della procedura semplificata senza accordi individuali. I lavoratori fragili che desiderano continuare con questa modalità di lavoro dovranno stipulare un "contratto" specifico con il loro datore di lavoro. Questo contratto dovrà essere conforme ai piani dell'azienda nel caso dei dipendenti privati o delle amministrazioni pubbliche per i dipendenti del settore pubblico.

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La scadenza di fine settembre ridurrà quindi il numero di beneficiari dello smart working agevolato, ma alcune categorie di lavoratori continueranno a beneficiarne fino al 31 dicembre. Queste due categorie includono:

Lavoratori dipendenti del settore privato con almeno un figlio minore di 14 anni: Questi lavoratori potranno continuare a lavorare in modalità agile, a condizione che non ci sia un altro genitore che beneficia di strumenti di sostegno al reddito e che non vi sia un genitore non lavoratore.

Lavoratori dipendenti più esposti al rischio di contagio dal virus Sars-CoV-2: Questi lavoratori, sulla base delle valutazioni dei medici competenti, potranno continuare a lavorare in modalità agile. Questa categoria include persone di età avanzata, con immunodepressione, con esiti di patologie oncologiche, sottoposte a terapie salvavita o con comorbilità che aumentano il rischio di contagio.

Negli ultimi anni, molte aziende hanno abbracciato lo smart working, trasformando radicalmente il modo in cui il lavoro viene svolto e aprendo la strada a nuove tendenze come il "workation" e il "nomadismo digitale."

In Italia, ad esempio, l'agenzia digitale Caffeina ha introdotto l'approccio "Work From X," che offre diverse modalità di lavoro, tra cui il lavoro in ufficio ("Work From Office"), il lavoro in luoghi vicini alle sedi dell'azienda ("Work From Close By"), il lavoro da qualsiasi luogo ("Work From Anywhere") e il lavoro completamente remoto ("Work From Remote").

Tim, un importante operatore di telecomunicazioni, consente ai suoi 32.000 dipendenti di lavorare in smart working fino a tre giorni a settimana e ha recentemente avviato un progetto pilota che permette a 100 dipendenti di lavorare in modalità completamente remota.

Microsoft, d'altra parte, ha introdotto una politica chiamata "Discretionary time off" negli Stati Uniti, concedendo ai dipendenti ferie e permessi illimitati a loro discrezione, previa autorizzazione dei responsabili.

Questi sviluppi stanno aprendo la strada al "workation," che consente ai lavoratori di continuare a lavorare gestendo autonomamente il loro tempo, anche durante le vacanze. Questa tendenza è in linea con l'aumento del "nomadismo digitale," un fenomeno che coinvolge professionisti specializzati che lavorano in remoto mentre viaggiano e vivono in diversi luoghi. Si stima che ci siano almeno 35 milioni di nomadi digitali in tutto il mondo, con guadagni medi mensili superiori a 1600 euro. Se si unissero in un unico paese, costituirebbero una delle economie più ricche del mondo per reddito pro capite e popolazione.

Il nomadismo digitale offre un'opportunità imperdibile per le aziende che desiderano attirare talenti al di fuori dei loro confini geografici. Le imprese non sono più limitate nella ricerca di personale a livello locale, ma possono cercare candidati in tutto il mondo che abbiano le competenze desiderate. Questo approccio può aumentare la fidelizzazione dei dipendenti e migliorare la qualità del processo di selezione.

Tuttavia, nonostante queste opportunità, lo smart working in Italia è ancora relativamente limitato. Solo il 14,9% degli occupati svolge parte del loro lavoro in modalità remota, nonostante il potenziale per raggiungere quasi il 40%. Le piccole imprese, con meno di 5 dipendenti, sono particolarmente restie a implementare il telelavoro, con l'84% dei loro lavoratori impegnati in attività che non possono essere svolte a distanza. Al contrario, nelle aziende più grandi, questa percentuale si riduce notevolmente.

Inoltre, le differenze di settore e professione sono evidenti, con professioni intellettuali ed esecutive che sono più inclini al telelavoro rispetto a professioni non qualificate. I dati dimostrano che le persone con una laurea, i dipendenti delle grandi aziende, i lavoratori nei servizi e i dipendenti pubblici sono più propensi al telelavoro rispetto ad altre categorie. Inoltre, si rilevano leggere disparità regionali, con una maggiore inclinazione al telelavoro nel Nord Ovest e nel Centro Italia.

La percezione dello smart working varia anche tra uomini e donne. Gli uomini apprezzano la maggiore autonomia, mentre le donne sono più preoccupate per le prospettive di carriera, i diritti sindacali e il controllo del datore di lavoro.

A livello europeo, l'Italia ha visto una crescita significativa nel telelavoro negli ultimi anni, ma il tasso di crescita si è rallentato nel 2021. Tuttavia, alcuni paesi europei, come i Paesi Bassi, hanno raggiunto tassi di telelavoro molto più elevati.

In sintesi, mentre lo smart working continua a evolversi e a offrire nuove opportunità, ci sono ancora sfide significative da affrontare in Italia per massimizzare il suo potenziale e adattarlo alle esigenze dei lavoratori e delle aziende. La pandemia ha accelerato il cambiamento, ma ora è il momento di riflettere su come implementare in modo efficace queste nuove modalità di lavoro nel panorama lavorativo italiano.

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Salute

La Sanità italiana perde i pezzi e li raccolgono in Medio Oriente

La Sanità italiana perde i pezzi e li raccolgono in Medio Oriente

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Negli ultimi tre mesi, più di 500 professionisti della sanità in Italia hanno espresso la volontà di trasferirsi all'estero, precisamente nei Paesi Arabi, sia da soli che con le loro famiglie, allo scopo di prestare servizio e vivere un'esperienza lavorativa e culturale in queste terre affascinanti. Questo trend, che era già in atto, ha visto un aumento del 40% nelle richieste in soli 90 giorni, suggerendo un crescente interesse verso il Medio Oriente da parte di medici, infermieri e altre figure sanitarie.

Uno dei fattori che sembra influenzare questa tendenza è la notorietà del Medio Oriente, in particolare di paesi come l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, che sono diventati destinazioni di fama mondiale anche per celebrità come Cristiano Ronaldo, Neymar e l'ex commissario tecnico della nazionale italiana Roberto Mancini. Tuttavia, ciò che attrae maggiormente i professionisti della sanità italiani sono i vantaggiosi stipendi, che possono raggiungere fino a 20.000 dollari al mese, e i generosi benefit offerti dai paesi della regione, in netto contrasto con le condizioni spesso difficili nel sistema sanitario italiano.

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Dall'altra parte dell'equazione, c'è un crescente bisogno di assistenza sanitaria nei paesi del Golfo Persico. Questi paesi stanno vivendo un aumento demografico e un processo di invecchiamento della popolazione, il che richiede un sistema sanitario in espansione. Inoltre, hanno investito significativamente, destinando circa il 10% del loro PIL alla sanità, ai servizi e all'industria sanitaria, con ospedali e cliniche private all'avanguardia. In Arabia Saudita, ad esempio, già il 90% del personale sanitario è di origine straniera, e questa percentuale è destinata a crescere con l'arrivo di professionisti italiani e europei.

Secondo l'Associazione dei medici di origine straniera in Italia (Amsi) e l'Unione medica euro mediterranea (Umem), dei 450 professionisti della sanità italiani e dei 50 europei residenti in Italia che hanno pianificato di lavorare nei paesi del Golfo nell'ultimo trimestre, 250 sono medici specialisti, 150 sono infermieri e 100 sono medici generici, fisioterapisti, farmacisti, podologi e dietisti.

Foad Aodi, presidente di Amsi e componente della Commissione Salute globale della Federazione degli Ordini dei medici e degli odontoiatri, ha sottolineato il potenziale vantaggioso di questa situazione per entrambe le parti coinvolte: "I tre Paesi più richiesti sono Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar, poi c'è il Bahrain. Ovviamente, i colleghi puntano ai Paesi dove sono maggiori le possibilità di essere valorizzati. Ci sono medici già in pensione, ma molti sono giovani che vogliono trasferirsi anche con la famiglia e non tutti guardano solo all'aspetto economico, che pur rimane una componente importante: si cercano qualità di vita e migliori condizioni di lavoro".

Questo fenomeno rappresenta una risposta alla profonda crisi della sanità pubblica in Italia, con il personale medico che da anni denuncia una situazione di disagio e stipendi contenuti. Ora, oltre a cercare alternative nel settore privato e considerare la pensione, i professionisti della sanità italiani stanno guardando a realtà all'estero, che, paradossalmente, sembrano essere più facilmente accessibili grazie a procedure di reclutamento più rapide e vantaggiose.

Per essere ammessi a lavorare nei paesi del Golfo, è sufficiente un periodo di tre mesi, a fronte dell'anno e mezzo di attesa registrato in Italia per essere ammessi dopo la presentazione della domanda. È richiesto un curriculum formativo, specializzazione e un certificato di buona condotta da parte del ministero e dell'Ordine professionale, oltre a una competenza eccellente nell'inglese. I requisiti minimi variano a seconda della professione, con gli infermieri che devono avere almeno due anni di esperienza, i medici specialisti tre anni e i medici generici cinque anni.

Secondo le stime di Amsi e Umem, entro il 2030 l'Arabia Saudita avrà bisogno di 44.000 medici e 88.000 infermieri. Questo massiccio reclutamento mira a ridurre il flusso di pazienti che cercano cure all'estero, una tendenza che attualmente costa ai paesi del Golfo oltre 20 miliardi di dollari. L'assunzione di personale medico e sanitario altamente qualificato dall'Italia rappresenta una soluzione conveniente per affrontare questa sfida.

Le specializzazioni più richieste includono dermatologia, chirurgia generale, medicina estetica, ortopedia, gastroenterologia, ginecologia, pediatria, oculistica, emergenza, chirurgia plastica, otorinolaringoiatria e odontoiatria, oltre a infermieri specializzati, fisioterapisti, farmacisti e dietisti. I compensi offerti includono servizi di alloggio, assistenza scolastica per i figli e agevolazioni fiscali. Per i medici, i salari variano da 14.000 a 20.000 dollari al mese, mentre per gli infermieri vanno da 3.000 a 6.000 dollari. In Arabia Saudita, i medici più pagati includono neurochirurghi, neurologi, ortopedici, specialisti in emergenza, chirurghi plastici, ginecologi e pediatri, con la possibilità di lavorare mantenendo il passaporto europeo.

In conclusione, il crescente interesse dei professionisti della sanità italiani verso il Medio Oriente è alimentato da una combinazione di fattori, tra cui stipendi più elevati, migliori condizioni di lavoro e l'opportunità di contribuire a risolvere le sfide sanitarie dei paesi del Golfo Persico. Questa tendenza rappresenta un'opportunità per entrambe le parti, con l'obiettivo di migliorare la qualità della sanità nella regione e offrire ai professionisti della sanità italiani nuove prospettive di carriera e di vita.

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Economia

L’OPEC taglia la produzione del greggio, prezzi in salita

L’OPEC taglia la produzione del greggio, prezzi in salita

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La guerra in Ucraina, in corso da diversi anni, continua a destabilizzare la regione e ad avere ripercussioni a livello globale. Ma questa guerra non si combatte solo sul campo di battaglia; ha diversi fronti, e uno di quelli più cruciali è quello economico. Tra gli attori principali in questa lotta economica, il petrolio gioca un ruolo chiave, e l'annuncio dell'Arabia Saudita e della Russia di estendere i tagli alla produzione di greggio ha scosso i mercati il 5 settembre.

L'Arabia Saudita ha comunicato la sua decisione di continuare a tagliare la produzione di petrolio di un milione di barili al giorno (equivalente a 1,59 milioni di ettolitri) per altri tre mesi. Poco dopo, la Russia ha seguito questa strada annunciando che manterrà la riduzione di 300.000 unità giornaliere fino alla fine dell'anno. Queste mosse non hanno sorpreso molti osservatori, dato che l'Arabia Saudita aveva anticipato questa mossa già ad agosto, mentre la Russia ha annunciato il proprio intento all'inizio di settembre durante una riunione televisiva del governo.

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Il mercato petrolifero ha reagito prontamente a queste decisioni, con un aumento dei prezzi. Il Brent, che rappresenta il prezzo del petrolio del mare del Nord, ha superato la soglia dei 90 dollari al barile, raggiungendo i massimi registrati dall'anno precedente. L'indice WTI (West Texas Intermediate) è salito del 2,55%, raggiungendo i 87,73 dollari al barile. L'obiettivo di queste misure è quello di ridurre l'offerta e di spingere al rialzo i prezzi, inserendosi nella strategia a lungo termine di entrambi i paesi.

La Russia sta cercando di massimizzare le entrate derivanti dalla vendita di idrocarburi per finanziare la guerra in Ucraina. In questo momento, le sue esportazioni sono fortemente ostacolate dalle sanzioni internazionali, e il rublo ha perso valore rispetto all'euro e al dollaro. L'Arabia Saudita, d'altro canto, sta cercando di mantenere alti i prezzi per finanziare il suo ambizioso piano di revisione economica noto come Vision 2030.

Ma queste mosse non sono solo un gioco economico. Rappresentano anche uno schiaffo agli Stati Uniti e ai loro alleati occidentali. L'anno scorso, l'OPEC+ (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), cui fanno parte sia la Russia che l'Arabia Saudita, aveva deciso di ridurre la produzione di petrolio, ignorando le richieste di Washington di aumentare la produzione per contenere i crescenti costi dell'energia a livello mondiale causati dal conflitto in Ucraina. L'organizzazione aveva giustificato la sua decisione come necessaria per mantenere la stabilità del mercato. La visita del presidente Joe Biden in Arabia Saudita nel luglio del 2022 aveva suggellato la sconfitta dell'Occidente in questa battaglia economica.

Con l'arrivo dell'inverno, c'è l'ipotesi che le bollette energetiche possano tornare a salire, allontanando ulteriormente l'obiettivo occidentale di soffocare economicamente la Russia. Inoltre, la crescente spaccatura tra Washington e Riad potrebbe influenzare gli equilibri nel Medio Oriente, aprendo la strada a nuovi attori come Russia e Cina in una regione che per decenni è stata sotto il controllo degli Stati Uniti.

In conclusione, la guerra in Ucraina si sta combattendo su vari fronti, compreso quello economico, dove l'Arabia Saudita e la Russia stanno facendo alleanze tattiche per perseguire i loro obiettivi a lungo termine. Queste decisioni hanno anche delle implicazioni geopolitiche importanti e potrebbero portare a un cambiamento nell'equilibrio di potere nel Medio Oriente e oltre. La situazione rimane fluida, e il mondo osserva con attenzione come si svilupperanno gli eventi.

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La SEAT lascerà il posto alla sorella CUPRA

La SEAT lascerà il posto alla sorella CUPRA

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Nel panorama automobilistico in continua evoluzione, i marchi automobilistici devono costantemente adattarsi alle mutevoli esigenze dei consumatori e alle nuove tendenze del settore. Uno di questi marchi in transizione è Seat, ma le ultime dichiarazioni del top manager Thomas Schäfer, che supervisa anche il marchio Volkswagen, offrono un quadro interessante del futuro della casa automobilistica spagnola.

"Il futuro della Seat è Cupra, dove stiamo concentrando gli investimenti," ha affermato Schäfer in un'intervista a Quattroruote, rivelando la chiara direzione che sta prendendo il marchio. Mentre la Seat non è stata al centro degli investimenti nell'elettrico, l'attenzione è ora rivolta ai modelli a combustione e, in particolare, al marchio Cupra. Questa decisione ha sollevato alcune domande tra la stampa e l'opinione pubblica sulla strada che la Seat sta percorrendo.

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Schäfer ha rassicurato che la Seat non scomparirà, ma piuttosto si trasformerà in qualcos'altro dopo che i modelli attuali completeranno il loro ciclo di vita, presumibilmente entro il 2028. Tuttavia, il manager non ha fornito dettagli specifici su come avverrà questa trasformazione, lasciando spazio a speculazioni ed aspettative.

Secondo alcune fonti raccolte da Quattroruote, tra le opzioni considerate per il futuro della Seat potrebbe esserci una specializzazione nel settore della micro mobilità urbana, un'area già esplorata dalla casa automobilistica spagnola in passato con il concept Minimo. Questo suggerisce che il marchio potrebbe concentrarsi su soluzioni di mobilità legate alle città, come veicoli elettrici leggeri e compatti progettati per gli spostamenti urbani.

Indipendentemente dal percorso esatto che la Seat intraprenderà, una cosa è certa: l'ossatura produttiva della Volkswagen in Spagna rimane salda e non è in discussione. L'impianto di Martorell sarà il fulcro della produzione di compatte elettriche per i marchi Cupra, Skoda e Volkswagen, occupando circa il 70% della sua capacità produttiva. Il restante 30% potrebbe essere destinato a un altro modello Cupra. Inoltre, il futuro degli impianti di Pamplona e Palmela è altrettanto sicuro, con il primo che assembla attualmente la Volkswagen T-Roc.

Queste dichiarazioni confermano l'impegno del gruppo Volkswagen nei confronti delle operazioni di produzione in Spagna e forniscono indicazioni interessanti su come la Seat potrebbe reinventarsi per rimanere rilevante in un mercato automobilistico in costante cambiamento. Mentre il marchio continua a evolversi, i consumatori e gli appassionati di auto dovrebbero rimanere in attesa di ulteriori dettagli sulla sua futura direzione e sulle innovazioni che porterà al mondo dell'automobile.

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Crypto

Bitcoin, una crypto ormai “statica” o è la calma prima della tempesta?

Bitcoin, una crypto ormai “statica” o è la calma prima della tempesta?

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Negli ultimi tempi, il mondo delle criptovalute sembra essere caduto in uno stato di apatia, con il Bitcoin che sembra essere intrappolato in una fase di bassa volatilità e bassi volumi di trading. La profezia di Nassim Taleb di alcuni giorni fa, che ha previsto l'inevitabile morte del Bitcoin per inedia, sembra essere sulla bocca di molti. Ma è davvero così?

La situazione attuale del mercato cripto è caratterizzata da volumi mai così bassi dal 2020, un anno che poi ha visto l'inizio di una delle bull run più incredibili nella storia delle criptovalute. I giornali sembrano essere a secco di notizie rilevanti, tranne che per un proposal che sta facendo discutere l'intera comunità di Twitter, sviluppatori e appassionati. Anche l'aspetto finanziario sembra essere stato colpito dalla noia, con la mancanza di nuovi eventi significativi dopo il boom degli ETF legati al Bitcoin.

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Tuttavia, è importante notare che ci sono segnali che indicano che questa calma potrebbe essere solo temporanea. Gli ETF Bitcoin Spot, veicoli di investimento che potrebbero raccogliere fino a 20 miliardi di dollari entro un anno dall'approvazione, potrebbero rappresentare un punto di svolta per il mercato delle criptovalute. Nonostante la SEC abbia rinviato la sua decisione su questi ETF a ottobre, c'è un elemento intrigante da considerare: il caso Grayscale contro la SEC.

All'interno di questa causa, si è discusso della distinzione tra prodotti basati sui futures e prodotti basati sul prezzo spot di Bitcoin. I giudici hanno chiaramente dichiarato che questa distinzione non ha più senso, e questo potrebbe forzare la SEC ad accettare gli ETF Bitcoin Spot o addirittura a ritirare l'approvazione dei prodotti già offerti nei mercati statunitensi. Questo sviluppo potrebbe portare a una maggiore adozione di Bitcoin come investimento tradizionale.

Ma c'è di più da considerare oltre agli ETF. L'evento dell'halving di Bitcoin, che si è verificato in passato, potrebbe fornire un impulso rialzista al prezzo del Bitcoin. La bassa volatilità e i volumi minimi degli ultimi tempi potrebbero essere indicatori di un ciclo simile a quanto accaduto dopo l'halving del 2020, quando il prezzo è schizzato alle stelle.

Inoltre, la comunità Bitcoin è coinvolta in discussioni intense, come il dibattito su BIP 300, che riguarda sidechain e drivechain tecniche. Questo dimostra che l'ecosistema Bitcoin è più vivo che mai, con una comunità appassionata che continua a innovare e a cercare nuove soluzioni.

Sul fronte legale, sembra che la SEC abbia già colpito i soggetti più rilevanti nel mondo delle criptovalute. Non è probabile che prenda ulteriori misure contro il Bitcoin o il suo ecosistema commerciale, soprattutto considerando le pressioni politiche che si stanno facendo sentire.

In conclusione, mentre la calma attuale potrebbe far sembrare il Bitcoin inerte, ci sono molte ragioni per credere che questa sia solo la calma prima di una possibile tempesta rialzista. Gli ETF Bitcoin Spot, l'halving imminente e l'attività frenetica della comunità Bitcoin sono tutti segnali che indicano che il futuro potrebbe essere più luminoso di quanto sembri al momento. Tuttavia, è importante notare che gli investimenti nelle criptovalute sono sempre rischiosi e richiedono una buona comprensione del mercato e delle dinamiche in gioco. Chiunque decida di investire in Bitcoin dovrebbe farlo con cautela e consapevolezza dei rischi coinvolti.

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Economia

Intervento della Presidente BCE Lagarde su inflazione e tassi d’interesse

Intervento della Presidente BCE Lagarde su inflazione e tassi d’interesse

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In un discorso ampiamente atteso dedicato alla comunicazione e alla politica monetaria, Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), ha recentemente discusso del futuro dei tassi d'interesse e dell'inflazione nella zona euro. Le dichiarazioni di Lagarde giungono in un momento critico per l'economia globale, con crescenti preoccupazioni riguardo all'inflazione e le banche centrali che cercano di navigare tra le sfide poste dal paesaggio economico post-pandemico.

Nel suo discorso, Lagarde è rimasta cauta nel rivelare le future decisioni della BCE sui tassi d'interesse, programmate per il 14 settembre. Ha sottolineato l'importanza per le banche centrali di mantenere le aspettative sull'inflazione, mettendo in evidenza la significatività della comunicazione efficace. Lagarde ha tenuto il suo discorso, intitolato "Comunicazione e Politica Monetaria", a Londra, sottolineando la necessità per le banche centrali di adattare le loro strategie di comunicazione in un'era caratterizzata da una rapidissima diminuzione dell'attenzione e dalla diffidenza diffusa verso le fonti governative di informazione.

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Lagarde ha riconosciuto che anche se l'inflazione comincia a diminuire, la comunicazione efficace rimane cruciale, specialmente alla luce delle significative transizioni nei mercati del lavoro ed energetici e degli sviluppi geopolitici in corso. Questi fattori possono portare a shock dei prezzi relativi più forti e frequenti, rendendo necessario ancorare saldamente le aspettative di inflazione in un ambiente di prezzi in evoluzione.

Una delle principali preoccupazioni espresse da Lagarde è stata la diminuzione della fiducia pubblica nella BCE a seguito dell'incremento recente dell'inflazione. Ha sottolineato che la BCE prende questa sfida molto seriamente, poiché la comunicazione frammentata e la diminuzione della fiducia possono compromettere la legittimità delle banche centrali indipendenti nelle democrazie e l'efficacia della politica monetaria. Lagarde ha enfatizzato che la comunicazione svolge un ruolo cruciale nel plasmare le aspettative delle persone sull'inflazione, rendendo essenziale per la BCE non solo adottare misure decise per ridurre l'inflazione, ma anche comunicare in modo efficace per ancorare le aspettative di inflazione a medio termine.

Lagarde ha ribadito la sua determinazione a riportare la crescita dell'inflazione al target del 2% della BCE a medio termine, sottolineando che trasmettere questo impegno è vitale per evitare dinamiche inflazionistiche che si autoavverino.

Va notato che, al recente simposio annuale di Jackson Hole organizzato dalla Federal Reserve, Lagarde aveva dichiarato che i tassi d'interesse nell'area euro sarebbero rimasti elevati finché la battaglia contro l'inflazione non fosse stata decisamente vinta. Tuttavia, i mercati finanziari sembrano scommettere contro un imminente rialzo dei tassi, attribuendo solo una probabilità del 29% a tale scenario nella prossima riunione della BCE.

Questa discrepanza tra la comunicazione di Lagarde e le aspettative di mercato solleva domande sul suo approccio. Poco dopo il suo discorso a Jackson Hole, sono stati resi noti i dati sull'inflazione nella zona euro, alimentando ulteriori preoccupazioni riguardo a un possibile scenario di stagflazione. L'Indice dei Prezzi al Consumo (CPI) nell'eurozona per agosto ha superato le previsioni, raggiungendo un tasso annuo del 5,3%, significativamente superiore alla previsione del consenso degli economisti del 5,1%. La buona notizia è che l'inflazione core, che era stata costantemente alta nei mesi precedenti, è scesa al 5,3% rispetto al 5,5% di luglio.

Tuttavia, ciò rappresenta comunque pressioni inflazionistiche che crescono a più del doppio del target del 2% della BCE, sollevando dubbi sulle future tendenze dei prezzi. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha anche indicato che l'era dei tassi d'interesse bassi, o addirittura negativi, che ha caratterizzato il periodo successivo alla crisi finanziaria globale, potrebbe essere ormai un capitolo chiuso. Inoltre, il FMI ha avvertito del rischio che la BCE possa alzare i tassi d'interesse in modo troppo aggressivo e per un periodo troppo lungo, potenzialmente soffocando la crescita economica. Questo timore è stato espresso anche da Mario Centeno, Governatore della Banca del Portogallo e membro del Consiglio Direttivo della BCE.

Centeno ha persino suggerito che il tasso di inflazione dell'area euro stia diminuendo più rapidamente rispetto all'incremento precedente, enfatizzando ulteriormente il pericolo di una BCE che si impegni troppo in rialzi dei tassi. Di conseguenza, alcuni economisti stanno rivalutando le loro aspettative per la decisione della BCE il 14 settembre.

Alla luce dei dati sull'inflazione dell'area euro, che hanno mostrato anche un rallentamento della crescita dei prezzi nel settore dei servizi da 5,6% a luglio a 5,5% ad agosto, e del deterioramento dei fondamentali economici del blocco, Morgan Stanley ha rivisto le sue previsioni. Non si attendono più rialzi dei tassi, ma piuttosto una pausa da parte della BCE.

In precedenza, gli analisti della gigante bancaria americana avevano previsto l'ultima mossa di stretta monetaria della BCE per settembre. L'ultima riunione della BCE sui tassi si è tenuta il 27 luglio, durante la quale Lagarde e i suoi colleghi hanno alzato i tassi d'interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale rispettivamente al 4,25%, al 4,50% e al 3,75%.

In conclusione, la recente comunicazione di Christine Lagarde riguardo ai tassi d'interesse e all'inflazione ha sollevato domande e incertezze nei mercati finanziari. Con l'inflazione nell'area euro che rimane persistentemente elevata e le banche centrali di tutto il mondo che cercano di affrontare le sfide di un paesaggio economico in rapida evoluzione, il percorso futuro della politica monetaria rimane incerto.

Gli sforzi di Lagarde nel navigare queste complessità attraverso una comunicazione efficace avranno un ruolo fondamentale nella capacità della BCE di mantenere la stabilità economica e ancorare le aspettative di inflazione. Le decisioni prese nella prossima riunione della BCE il 14 settembre saranno osservate con attenzione, poiché hanno il potenziale di influenzare significativamente la traiettoria economica dell'area euro.

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Politica

Accordo sul grano, fumata nera

Accordo sul grano, fumata nera

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Nell'ultima riunione tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, la montagna non ha partorito nemmeno il proverbiale topolino. L'atteso incontro, il primo in presenza dopo quasi un anno, è stato caratterizzato da delusioni e mancanza di progressi significativi su due questioni cruciali: il rientro di Mosca nell'accordo sul grano e la mediazione di pace tra Russia e Ucraina, di cui la Turchia spera di essere mediatrice.

Uno dei principali punti all'ordine del giorno era la questione dell'accordo sul grano tra Russia e Ucraina. Putin ha ribadito la posizione di Mosca, sostenendo che la Russia accetterà una ripresa dell'intesa per l'esportazione dei cereali ucraini solo quando saranno rimosse le restrizioni sul proprio export di grano e fertilizzanti. Questo impasse è un riflesso delle complesse dinamiche geopolitiche tra le due nazioni.

Putin ha sottolineato che, nonostante la sospensione dell'accordo, la produzione russa di grano rimane considerevole, con una previsione di 130 milioni di tonnellate quest'anno, di cui 60 milioni potrebbero essere esportate. Tuttavia, le sanzioni imposte a livello bancario, logistico e assicurativo hanno creato barriere che rendono difficile per la Russia raggiungere i mercati internazionali.

Il presidente russo ha anche accusato l'Ucraina di aver utilizzato i corridoi umanitari nel Mar Nero per attaccare obiettivi militari e civili russi, inclusi importanti gasdotti e navi russe. Queste affermazioni hanno ulteriormente complicato la situazione e reso difficile qualsiasi progresso nella mediazione di pace tra le due nazioni.

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Nonostante la delusione, Erdogan ha affermato che la Turchia crede di poter raggiungere una soluzione sulla questione del grano a breve termine. Tuttavia, il presidente turco ha anche lanciato una frecciata all'Ucraina, invitandola ad "ammorbidire" la sua posizione nelle trattative di pace. La Turchia ha cercato di svolgere un ruolo di mediatrice tra Russia e Ucraina in passato, ma i tentativi sono stati ostacolati da ostilità continue tra le parti.

Le discussioni tra Putin ed Erdogan sembrano aver avuto più successo su argomenti di interesse bilaterale. I due leader hanno parlato della cooperazione nel settore nucleare, con Putin che ha annunciato l'inizio della costruzione della prima centrale nucleare russa in Turchia ad Akkuyu, mentre Erdogan ha menzionato progressi per la costruzione di una seconda centrale a Sinop, sul Mar Nero. In campo energetico, è stato creato un gruppo di lavoro per sviluppare un hub del gas in Turchia, alimentato dalla materia prima russa.

Lontano dai riflettori delle questioni riguardanti l'Ucraina, Putin ed Erdogan hanno anche discusso del futuro di due Paesi chiave, la Siria e la Libia, dove sostengono fazioni e interessi contrastanti. La situazione in queste regioni rimane altamente complessa e richiede un approccio diplomatico prudente da parte di entrambi i leader.

In conclusione, l'incontro tra Putin ed Erdogan ha rivelato le sfide persistenti e le tensioni nei rapporti tra Russia e Turchia, ma ha anche evidenziato la loro determinazione a trovare soluzioni per questioni di interesse comune. Tuttavia, per quanto riguarda il grano e la mediazione di pace in Ucraina, la strada verso una soluzione appare ancora tortuosa e incerta. La montagna delle sfide diplomatiche sembra ancora molto alta.

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