Impresa familiare ed accertamento fiscale: Un caso della Corte di Cassazione che fa epoca
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La Corte di Cassazione ha recentemente emesso una sentenza (n. 33149/2023) che stabilisce principi importanti per quanto riguarda l'accertamento in impresa familiare e il trattamento fiscale dei redditi dei familiari collaboratori. La vicenda riguarda un imprenditore di un'impresa familiare nel settore del commercio al dettaglio di carni, che aveva fatto ricorso contro un avviso di accertamento delle imposte dirette e dell'IVA.
La decisione della Corte riguarda principalmente la questione dell'imputazione del maggior reddito accertato ai familiari collaboratori. Secondo la sentenza, il maggior reddito deve essere riferito esclusivamente al titolare dell'impresa familiare e non può essere attribuito pro-quota agli altri familiari collaboratori che hanno diritto alla partecipazione agli utili d'impresa.
Dal punto di vista fiscale, le quote spettanti ai collaboratori dell'impresa familiare devono essere considerate come redditi di "puro lavoro" e non assimilabili a quelli di impresa. Questo perché i collaboratori non sono contitolari dell'impresa, che ha natura individuale. La Corte ha affermato che il reddito percepito dal titolare, pari al reddito conseguito dall'impresa al netto delle quote di competenza dei familiari collaboratori, costituisce un reddito d'impresa.
La sentenza fa riferimento all'art. 5, comma 4, del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) e all'art. 2697 del Codice Civile, evidenziando che, in caso di accertamento di un maggior reddito imprenditoriale, questo deve essere attribuito esclusivamente al titolare dell'impresa familiare. Le quote spettanti ai collaboratori, essendo considerate redditi di "puro lavoro", devono essere assoggettate all'imposizione nei limiti dei redditi dichiarati dall'imprenditore.
La Corte di Cassazione ha sottolineato che l'impresa familiare non può essere equiparata a una società, e quindi non può essere applicata la disciplina prevista per quest'ultima. In altre parole, i principi che regolano le società non sono compatibili con quelli che riguardano le imprese familiari, che hanno una natura individuale.
La decisione della Corte ha avuto riflessi sulla sentenza di secondo grado, con la Cassazione che ha accolto il ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate, sostenendo che la Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai principi stabiliti, decidendo per la legittimità dell'imputazione al familiare collaboratore di una quota del maggior reddito accertato rispetto al titolare dell'impresa.
In conclusione, questa sentenza della Corte di Cassazione fornisce chiarimenti importanti sul trattamento fiscale dell'accertamento in impresa familiare, stabilendo che il maggior reddito deve essere attribuito esclusivamente al titolare, e le quote spettanti ai familiari collaboratori devono essere considerate come redditi di "puro lavoro".
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