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L’Italia annuncia ufficialmente l’abbandono della Via della Seta

Nelle scorse settimane, l'Italia ha annunciato ufficialmente la sua uscita dalla Belt and Road Initiative (BRI), meglio conosciuta come la Via della Seta, con una nota della Farnesina consegnata a Pechino. Questa decisione rappresenta un passaggio strategico significativo nella politica estera del governo guidato da Giorgia Meloni, evidenziando un cambio di rotta rispetto al precedente memorandum firmato nel 2019 sotto il governo Conte.

La mossa, che è stata il risultato di negoziati con le controparti cinesi, è stata motivata da due ragioni principali. In primo luogo, dal punto di vista economico, l'Italia ha sottolineato che la collaborazione con la Cina attraverso la Via della Seta non ha portato i benefici economici attesi. In secondo luogo, dal punto di vista politico, l'Italia mira a superare l'anomalia di un legame così strutturato con la Cina, che è risultato essere un caso unico all'interno del G7, suscitando preoccupazioni soprattutto da parte di Washington e Bruxelles.

Nonostante l'uscita formale dalla Belt and Road Initiative, il governo italiano ha assicurato che i rapporti con la Cina non si indeboliranno. Al contrario, si prevede che le relazioni si svilupperanno in modo più pragmatico, come confermato dalla missione in Cina del segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia e dalla successiva visita del ministro degli Esteri Antonio Tajani. Durante questi incontri, è stata ribadita l'intenzione di coltivare il partenariato strategico tra i due paesi, con passi preparatori per la visita del presidente Sergio Mattarella in Cina l'anno successivo.

Già quattro anni fa, il governo M5s-Lega aveva scelto di aderire alla Belt and Road Initiative, convinto che ciò avrebbe portato benefici al Made in Italy. Tuttavia, con l'arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi e le successive dichiarazioni di Giorgia Meloni, l'accordo ha cominciato a vacillare. La stessa Meloni ha definito il memorandum un "grande errore" durante la campagna elettorale e ha avviato un percorso di riflessione e confronto con Pechino, che ha portato alla decisione di non rinnovare l'intesa.

La decisione italiana è stata comunicata a Pechino durante il G20 in India, con il premier Li Qiang che, sebbene non concordasse, ha preso atto della scelta. Giorgia Meloni ha evidenziato che nazioni europee che non hanno fatto parte della Via della Seta hanno stretto rapporti più vantaggiosi con la Cina, indicando Germania e Francia come esempi. In questo contesto, il governo italiano ha deciso di rilanciare il "partenariato strategico" con Pechino, assicurando che le relazioni commerciali non si interromperanno, ma anzi saranno intensificate.

Oltre alle ragioni economiche, la decisione italiana di abbandonare la Belt and Road Initiative è stata influenzata anche da considerazioni di opportunità politica. In un momento in cui Pechino è in disaccordo con l'Occidente su questioni internazionali cruciali, dall'Ucraina a Gaza, l'Italia vuole rafforzare il suo ancoraggio euro-atlantico. Questo spiega anche l'interlocuzione costante tra Roma e Washington su questo dossier, con gli Stati Uniti che auspicavano un ripensamento dell'Italia.

Va notato che, parallelamente all'uscita italiana, il paese ha aderito a un progetto promosso dagli Stati Uniti per un nuovo corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, come alternativa alla rete cinese. La decisione italiana sulla Belt and Road Initiative è stata presa nel decennale dell'iniziativa cinese, celebrato a Pechino con un vertice al quale hanno partecipato oltre 130 paesi. La scelta di un'exit strategy soft, senza annunci eclatanti, evidenzia la volontà italiana di rispettare la leadership cinese, pur definendo nuovi termini nei rapporti bilaterali.

Il "no comment" di Palazzo Chigi sulla lettera inviata a Pechino sembra sottolineare questa exit strategy soft, mantenendo fari spenti su una decisione che, sebbene rappresenti un cambio significativo, non intende interrompere la collaborazione con la Cina, ma ridefinirla in termini più vantaggiosi per l'Italia nel contesto geostrategico attuale.

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