Putin e la sua strategia per evitare le sanzioni continuando ad esportare petrolio in quantità industriali

La Russia continua a esportare benzina e petrolio fuori dagli Stati dell’Europa. Ecco gli affari di Putin e dei suoi alleati.

Non ci sono sanzioni che tengano. A un anno e mezzo di distanza dallo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, l’economia di Mosca sta reggendo il colpo. E non solo secondo le recenti stime del Fondo Monetario Internazionale, il quale ha ridotto drasticamente il segno meno dinanzi al Prodotto Interno Lordo della Federazione, ma perché le esportazioni del Cremlino sono in costante crescita. Non solo verso i nuovi alleati, Cina e Iran su tutti, ma anche nel continente europeo.

Putin ha utilizzato un escamotage per sviare le sanzioni occidentali. Il gas ed il petrolio, così come la benzina, russi venivano esportati negli Stati alleati, che poi agivano da intermediari per venderli in Europa. Una mossa che era ben riuscita con il gas e con la Cina. Mosca vendeva le proprie forniture a Pechino, la quale poi procedeva a venderli (a prezzi estremamente più alti) al Vecchio Continente. La stessa cosa sta accadendo con l’India. Sulla carta, infatti, sempre più benzina e diesel prodotti dall’India raggiungono l’Europa e gli Stati Uniti, in alternativa a quelli russi su cui gravano le sanzioni occidentali. Peccato però che questo greggio arrivi dalla Russia, con un vero e proprio guadagno economico per Putin. Secondo Reuters, infatti, l’India è passata da una media di 154mila barili al giorno a circa 200mila verso l’Europa. Dei 4,6 milioni di barili indiani, oltre 1 milione provengono da Mosca. Il tutto concluso dal paradosso price cap dell’Ue, grazie al quale il greggio russo è diventato meno costoso sul mercato internazionale. Ed ecco che l’India lo acquista, lo raffina e poi lo vende in Europa.

Operazione simile è avvenuta anche con il petrolio, venduto soprattutto a partner come Cina e Turchia (ma anche in questo caso non manca Nuova Delhi). Ad aprile, Putin ha registrato il record di vendite di barili dall’inizio della guerra: le esportazioni russe hanno raggiunto gli 8,3 milioni di barili al giorno, con un ricavo di 15 miliardi di dollari. Ruolo decisivo è svolto soprattutto da Xi Jinping, il quale a marzo ha raggiunto il record assoluto di barili importati dalla Russia, pari a circa 16 milioni al giorno. E che lo ha anche reso il secondo Stato consumatore di petrolio al mondo dopo gli Stati Uniti.

Non mancano però delle problematicità per Vladimir Putin. I proventi delle esportazioni di petrolio russo, come ribadito dall’Agenzia Internazionale dell'Energia, “sono stati inferiori del 27 per cento rispetto a un anno fa, mentre le entrate fiscali dal settore del petrolio e del gas sono diminuite del 64 per cento su base annua”. Questo è dipeso dalla fissazione del tetto massimo al prezzo del greggio varato dal G7, che non permette a Putin di ridurre la produzione russa di 500mila barili al giorno (come da lui stesso minacciato) perché porterebbe ad un incremento globale dei prezzi del petrolio.

Insomma, le difficoltà di Mosca ci sono, ma ben lontane da quello che, almeno in Europa, era stato prefigurato come il fallimento della Federazione. L’economia della Russia è viva e vegeta: l’errore di calcolo della classe politica Ue, sottovalutando la forza del Cremlino, è stato lampante sotto tutti i punti di vista. Anzi, con un paradosso ulteriore: a tratti, le sanzioni hanno fatto più male al sanzionatore che al sanzionato.

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Autore:

Redazione Rid Investment